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Storie e Testimonianze

Le nostre storie sono fatte di parole e immagini: raccontano e testimoniano la vita di persone che convivono con le distrofie miotoniche e anche di coloro che, come famigliari, medici, ricercatori, amici, volontari, condividono a titolo diverso le gioie, preoccupazioni, speranze di queste persone.

Una parte è dedicata ad accogliere testimonianze, dove chiunque può, se vuole, condividere la propria esperienza di vita e di malattia per sentirsi e far sentire qualcun altro, meno “raro”.

Se vuoi brevemente raccontare anche la tua storia, inviala con una foto a:

Il racconto, la testimonianza passa anche attraverso le immagini che rendono ancor più viva la trasmissione di momenti importanti della propria vita. In questa sezione trovano spazio anche le interviste, realizzate prevalentemente grazie al prof. Giovanni Meola, Presidente e Fondatore della FMM, a medici e ricercatori che illustrano la malattia, le sue caratteristiche, la ricerca, le speranze e l’ ambizione di trovare una cura che permetta a chi è malato di tornare ad avere un corpo sano e vivere una vita pienamente integrata nella società.

Ripartiamo insieme dalla ricerca

Gabriella

“Fausta e la sua Famiglia DM1”

Sono Fausta ed ho 71 anni, ex impiegata comunale, oggi pensionata.
Mio marito, 70 anni, pensionato, ex educatore, e mia figlia, 43 anni, insegnante, sono affetti da DM1.

Nel luglio 2009, mio marito subisce un intervento chirurgico per idrocefalo ostruttivo. Alla visita di controllo la primaria sospetta la distrofia miotonica, ad agosto abbiamo la diagnosi. Primo shock!

Penso di dover comunicare subito la notizia a mia figlia, all’epoca trentenne, che con il suo compagno aveva deciso di avere un bambino. Dopo qualche mese riceviamo l’esito del suo esame che conferma la DM1. Un secondo e ancor più grande shock!

“𝐸 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑎𝑣𝑜 𝑎 𝑐ℎ𝑖𝑒𝑑𝑒𝑟𝑚𝑖 𝑖𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑑𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑜𝑟𝑜.”

Mio marito inizia le visite annuali di controllo, il neurologo che lo aveva in cura non possedeva nessuna informazione approfondita sulla patologia. L’unica informazione certa era che la DM1 fosse una patologia inguaribile, peggiorativa e senza cure.

Iniziano per mio marito una serie di incidenti: cadute frequenti, fratture alle dita e altri traumi, ma, per fortuna, senza conseguenze gravi.

Raggiungiamo presto la consapevolezza che mio marito non sia più in grado di uscire da solo.

Intanto abbiamo l’opportunità di conoscere il prof. Meola e iniziamo a frequentare i suoi punti di ascolto.
Al primo incontro apprendiamo dell’esistenza di un farmaco, di seconda scelta, Lamotrigina – mio marito non può assumere la mexiletina per problemi cardiaci – che può aiutarlo ad alleviare i suoi dolori.

Il neurologo che lo segue è molto perplesso e restio a prescrivergli il farmaco. Sotto nostre insistenze e dopo aver visionato la registrazione dell’intervento del prof. Meola, il neurologo ci prescrive la Lamotrigina. A parte qualche episodio di dissenteria, conseguenza del farmaco, la Lamotrigina dà i suoi effetti positivi.

La nostra vita è cambiata in modo sostanziale. Mio marito ha un atteggiamento calmo e passivo, si è chiuso in sé, è diventato poco loquace. Non vuole più uscire, incontrare persone, insomma non è interessato alla vita che gli sta attorno.
Ha ritrovato una sua nuova dimensione stando a casa: legge molto, gioca a sudoku, ascolta la musica e le lezioni di storia.

Io mi sento “ammalata di conseguenza”. Devo pensare da sola a tutta la gestione quotidiana della nostra sopravvivenza. Sono sempre in ansia e disperata nel vedere mio marito in queste condizioni. A volte, addirittura, reagisco nei suoi confronti in modo brusco e sono sempre più agitata, e penso, continuamente, a cosa posso fare per aiutarlo.

Confidiamo molto nella terapia genica. Speriamo che la ricerca conduca presto ad essa.
Ringraziamo sempre il prezioso lavoro svolto dalla Fondazione Malattie Miotoniche e dal prof. Meola che rappresenta per noi un punto di riferimento.


Abbiamo bisogno del contributo di tutti per continuare a sperare.
Infinitamente grazie.

“Gabriella, donna e mamma coraggio!”

Sono Gabriella e vivo a Milano. Sono affetta da Distrofia Miotonica di tipo 1. La malattia mi fu diagnosticata quando ero una ragazza dal prof. Giovanni Meola presso il Policlinico di Milano. La mia vita è sempre stata caratterizzata dal desiderio di diventare mamma. La prima maternità è stata una triste esperienza. Il mio bambino è vissuto solo 2 mesi e 20 giorni in una situazione di continua sofferenza. Sapevo che la DM1 poteva causarmi un altro dolore, ma il coraggio non mi è mancato. Ho voluto rischiare ed è nato il mio secondo bambino, Andrea. Una felicità immensa. Molti mi dicevano che avevo coraggio, eh sì! Ne sono consapevole, ma ne è valsa la pena. Oggi Andrea è un uomo ed è il mio orgoglio. Il desiderio di non sentirmi sola mi ha sempre animato. Una patologia invalidante come la DM1, talvolta, può negarci la possibilità di vivere dei legami sentimentali. La solitudine è un grande problema. La tecnologia ha aiutato molto. Ho conosciuto on line una persona speciale, speciale come me e ci sto bene. Dentro di me è vivo un altro desiderio: guarire. Sono consapevole della mia condizione e mi convinco che la felicità va cercata in altre cose.”


Abbiamo bisogno del contributo di tutti per continuare a sperare.
Infinitamente grazie.

“𝐁𝐚𝐥𝐥𝐚𝐫𝐞, 𝐛𝐚𝐥𝐥𝐚𝐫𝐞, 𝐛𝐚𝐥𝐥𝐚𝐫𝐞, 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐯𝐫𝐞𝐢 𝐦𝐚𝐢 𝐬𝐦𝐞𝐬𝐬𝐨. 𝐐𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐦𝐢 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐞𝐯𝐚!”

La ragazza che vedi nella foto ero io! Mi chiamo Maria Antonietta e oggi ho 54 anni. Purtroppo un giorno, all’età di 15 anni, ho scoperto di essere affetta da DM1 con miotonia alle mani. A 23 anni ho ricevuto la diagnosi presso le Molinette di Torino, confermata a seguito di una visita presso l’ambulatorio neuromuscolare di San Donato con il prof. Meola, che fece seguire ricovero per accertamenti. Sulla base di questa conferma fui inserita nel protocollo della Mexiletina per la miotonia. All’epoca la notizia mi devastò psicologicamente. Provavo vergogna per il fatto che non potessi avere bambini e ciò non mi faceva sentire più una donna. Il mio stato emotivo faceva soffrire chi mi stava accanto, mio marito e i miei genitori. Non mi accettavo più perché vedevo cambiare il mio fisico: le gambe cedevano, le braccia perdevano vigore, il viso mutava. Ho ritrovato la forza nell’AMORE, in primis verso mio marito che mi è stato accanto ed ha affrontato con me questo percorso e poi verso il buddismo a cui mi sono avvicinata grazie a mio fratello, anche lui affetto da DM1. Oggi continuo a lottare, per me e per tutti coloro che vivono nella mia stessa condizione. Sono una persona serena, tranquilla e fiduciosa che un giorno ci sarà la cura che potrà migliorare la qualità della nostra vita. La ricerca scientifica sulle malattie miotoniche per noi significa poter parlare di futuro. Noi affetti da distrofia miotonica confidiamo nel lavoro della Fondazione Malattie Miotoniche che finanzia diversi progetti di ricerca su questa malattia.


Abbiamo bisogno del contributo di tutti per continuare a sperare.
Infinitamente grazie.

“Voglio guarire, almeno ci voglio provare”

Sono Giuseppe e sono affetto da distrofia miotonica di tipo 1. Ho avuto conferma di esserne ammalato all’età di 15 anni con la scoperta di miotonia alle mani.
In famiglia sia mia sorella e sia io ne siamo affetti.
Il mio papà si sentiva in colpa di aver messo al mondo due figli ammalati e costretti a vivere in una condizione di disagio fisico.
Un duro colpo per tutti noi è stata la sua morte. Da quel giorno mia madre si è dedicata totalmente a me. Io sono la sua motivazione di vita.
Il mio stato mentale ed emotivo influenza la malattia. Ogni qualvolta ho una delusione perdo la funzionalità di un muscolo.
Poi il fisico si riadegua alla nuova condizione e si va avanti.
Ma due cose mi mancano particolarmente:
  • l’autonomia per poter svolgere qualsiasi attività come fanno gli altri,
  • una compagna di vita da poter amare e con cui avere un rapporto sano.
Ogni qualvolta guardo una donna, mi dico da solo “dai, lei non fa per te”. E’ un modo per alleviare la mia sofferenza.
Voglio guarire, questo è il mio più grande desiderio. Almeno ci voglio provare.
Voglio lottare perché solo lottando mi sento vivo!

Abbiamo bisogno del contributo di tutti per continuare a sperare.
Infinitamente grazie.

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